Antoine era seduto sui gradini polverosi, ai piedi del palcoscenico, mentre Marianne volteggiava nel suo meraviglioso abito di scena.
I lustrini e le piegoline del tulle si staccavano e prendevano vita, sempre più velocemente ad ogni giravolta.
Antoine lavorava al Tabarin ormai da sei mesi e aveva visto ballare tante volte Marianne.
Quel giorno però fu diverso, quel giorno fu un sogno.
Marianne lo prese per mano e si ritrovarono a danzare insieme al centro di una stanza.
Il camino era acceso e il fuoco scoppiettava allegro, illuminando i colori dei libri su mensole dal sapore antico.
Sulla poltrona del nonno un gatto enorme sonnecchiava beato mentre, dal tappeto carminio, un cane molto più piccolo di lui lo puntava sospettoso.
Il grammofono sulla credenza continuava a vibrare di quella musica che tutto abbracciava intorno.
Anche le perle della nonna, nella scatola aperta sul comò, sembravano muoversi a tempo nella luce del fuoco mentre le tende, ricamate e candide, si piegavano in un nobile inchino.
Dalla finestra gargoyle curiosi sbirciavano all’interno, la musica continuava e Marianne e Antoine si perdevano l’una nel profumo dell’altro.
Il giovane si sentì scuotere dolcemente, le prove erano terminate e Marianne era china su di lui, luminosa seppur dal volto stanco. “Ti sei addormentato, avevi un viso cosi beato, cosa sognavi?”, chiese con un sorriso. Antoine non le rispose.
Si limitò a sfiorarle le labbra con uno di quei baci con cui l’accoglieva quando, esausta, tornava nel camerino dopo ogni spettacolo.
Baci piccoli, dolci, appena accennati.
Poi si alzò, prese il secchio, luccicante anch’esso, e cominciò a pulire i gradini polverosi su cui aveva sognato quella normalità che, a chi lavorava al Tabarin, sembrava negata da un destino distratto.
Dal lab di scrittura Maledetti Vivaci