Tonda e bella
Ci guardi da lassù
Grassottella.
Non so se sei anche monella
Ma sicuramente sei trasformella.
E noi da quaggiù
Ti guardiamo incantati
In questa estate ormai alle porte
Dal tuo sole pronti ad essere baciati.
Non essere gelosa,
Noi siamo una stagione,
Tu l’eternità.
Tonda, bella e grassottella.
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Sipario!
La domenica sera era, come sempre, dedicata al teatro. Io e la nonna ci facevano belle e, a braccetto, ci dirigevamo contente e gongolanti verso il nostro meraviglioso teatro cittadino, il Petruzzelli.
Era sempre una grande emozione entrarci: esser avvolti da quell’abbraccio lucente colmava ogni vuoto del cuore.
Questa volta però, al nostro arrivo, il teatro era stranamente ancora chiuso al pubblico.
Ci dissero che c’erano delle prove importanti in corso e che la messa in scena, prevista per quella sera, sarebbe stata ritardata.
Spinta da curiosità chiesi di poter entrare con la nonna per assistere a queste prove.
Mi dissero che il regista era molto severo su questo aspetto e che non si poteva. La mia adorata nonna sfoderò tutta la sua eleganza e, ai nostri irresistibili occhi dolci, l’addetto all’ordine non potè resistere.
Dunque entrammo e ci fecero addirittura accomodare in platea, con la promessa che saremmo state invisibili.
Timorose ed eccitate per quel fuori programma ci ponemmo in religioso ascolto di ciò che accadeva innanzi a noi.
Sul palco c’erano diversi attori e attrici, sembravano tutti bravi ed entusiasti.
Il regista sedeva in disparte, per terra, con le braccia avvolgeva le sue lunghe gambe, in una posizione quasi fetale.
Aveva occhi azzurri penetranti, trasmetteva fierezza, orgoglio per il suo spettacolo.
La trama non era ben chiara ma la passione che avvolgeva il palco e gli attori distolse la mia mente dal voler ricercare una storia. Mi feci cullare dalle parole.
Ero talmente incantata che ad un certo punto istintivamente…applaudo!
La nonna accanto a me trasale spaventata e mi blocca le mani.
“Non si era detto di essere invisibili?”, diceva il suo sguardo di rimprovero.
Troppo tardi, il regista si accorge di noi!
Alziamo le mani in un gesto di scuse e facciamo per alzarci e andar via ma lui ci invita a rimanere e ci fa sedere in prima fila.
Felice e sorpresa, guardo la nonna. Lei mi conosce benissimo e capisce che stavo vivendo un momento unico ed irripetibile ed ero felice che ci fosse lei accanto a me.
Quei momenti a teatro erano i nostri momenti, il nostro micro mondo in cui nessuno poteva entrare e che nessuno poteva capire.
Io e lei, un teatro, gli attori, le luci, le musiche, il sipario…che magia!
Le prove continuano.
Per fortuna gli attori non si sono accorti del mio rumoroso entusiasmo e hanno continuato la loro recita.
Io non riesco a staccare gli occhi dal regista e le orecchie dagli attori.
Cercavo di carpire segni di approvazione o disapprovazione.
La nonna si accorse del mio sguardo insistente e mi riprese: “Non sta bene!”, disse. Però sotto sotto anche lei era incantata da quegli occhi azzurri, dai gesti delle sue lunghe mani, dalle indicazioni con cui istruiva ed esortava gli attori e le attrici.
Sul palco c’erano più donne, che uomini, e sembravano quasi gareggiare nel recitare l’una meglio dell’altra la propria parte.
Prime donne, pensai.
Gli uomini erano più spigliati, completamente a loro agio su quel grande palco, sembravano davvero calati nella parte.
Ad un certo punto successe una cosa davvero inaspettata che suggellò quella serata e la mia vita per sempre.
Il regista mi guardò.
Lo vedo avvicinarsi e porgermi la mano invitandomi a salire sul palco.
Io lo guardo terrorizzata e gli dico di no, assolutamente no, e guardo la nonna in cerca di aiuto.
Lei però mi guarda e sorride: ”Nipote mia, ogni lasciata è persa”.
I proverbi della nonna, ti lasciava sempre senza parole, non potevi mai replicare.
E vabbene…Con la sua benedizione prendo la mano del regista e mi faccio accompagnare sul palco.
Timida e insicura comincio a muovermi e a recitare, lui mi guida dal suo angolo, delicato e sorridente, nessuno si accorge delle sue indicazioni.
Quando sbaglio, mi corregge, talvolta con cipiglio severo, poi il sorriso si riapre sul suo volto.
Lo spettacolo procede, il regista è così entusiasta di me che decide di darmi la parte principale.
Io sono felice e fiera, ogni titubanza via via scompare.
Le scene si susseguono e io continuo a recitare serena.
Ad un certo punto però le altre attrici dello spettacolo cominciano ad agitarsi.
Fermano la scena e interpellano il regista. Non vogliono che io continui con la parte principale. Sono appena arrivata e rubo la scena a tutte.
Prime donne, ripenso.
Dal palco cerco lo sguardo della nonna, ho bisogno di coraggio, è buio, non riesco a vederla…
Non ho chiesto io di salire su quel palco e non volevo nemmeno prendere parte allo spettacolo, il mio posto è la platea.
Vedo il regista in difficoltà, si altera, non riesce più a guidarmi.
Abbiamo gli occhi di tutti addosso e la scena fatica a decollare.
Faccio per scendere dal palco e abbandonare tutto. Giungo le mani in segno di preghiera e guardo quegli occhi azzurri, ora diventati tristi. Senza proferire parola cerco di dir loro: ”Non importa, è giusto così!”
Lui mi fa cenno di stare tranquilla e di rimanere sul palco. Si arrende, non rinuncia a me, assegnandomi però una parte secondaria.
Le acque si calmano ma non troppo…sul palco rimangono ancora troppe prime donne…ripenso ancora; litigano fra loro e mortificano il palco sul quale poggiano i loro piedi indegni.
Continuo a cercare gli occhi della nonna, “ma dove è finita? Perché non riesco a vederla? Perché non si sporge un po’ dalla platea, ho bisogno di lei!”
Il regista è stanco. Vedo il suo viso allungarsi, la luce nei suoi occhi affievolirsi.
Il suo spettacolo perde mordente.
La sua vita sembra quasi perdere di significato.
Dal mio cantuccio sul palco, in attesa della mia unica battuta, continuo a guardarlo, non gli stacco gli occhi di dosso, vorrei aiutarlo, vorrei far tornare a brillare i suoi occhi e il suo lavoro, ma ho solo una battuta….come faccio?
Poi finalmente la vedo, seduta con tutta la sua nobiltà d’animo, fiera nel suo argento. La nonna mi sorride ancora una volta, non c’è bisogno di dire una sola parola.
Amo questo spettacolo.
Il teatro, come la vita, possono talvolta essere improvvisazione.
Ho solo una battuta, e allora?
Sipario!
Dedicato a Nonna Nicla per tutta la bellezza che sento quando la penso.
Confessione: sacramento difficile
Lo ammetto il sacramento della Confessione non mi ha mai entusiasmato molto. Da bambina per timidezza, da adulta per ritrosia. Perchè andare a raccontare i fatti miei ad un estraneo, per quanto magari anche conosciuto? Avoglia a dirmi che è come se parlassi con Gesù…questo lo raccontavo pure io ai miei bambini quando ero catechista ma in cuor mio sapevo che sarebbe stato difficile per loro, come lo era per me.
Provo una sana invidia e una sana curiosità nei confronti di quelle persone che passano tanto tempo nel confessionale, ma cosa diranno mai?! Scherzi a parte il sacramento della Confessione è difficile sia per chi lo riceve che per chi lo dona, non tutti sono portati all’ascolto, questo vale anche per i sacerdoti.
La Confessione scatena tante reazioni diverse, ci sono state volte in cui sono uscita dal confessionale rigenerata, alleggerita, altre volte era come se non ci fossi mai entrata, altre ancora mi si è dipinto un sorriso sul viso. Ma è capitato anche di uscire dal confessionale sbattendo la porta e piena di rabbia e questo spero non accada mai più. Oggi è stata una di quelle volte in cui sono uscita in lacrime. Lacrime di sfogo e di sollievo che subito dopo ho offerto alla Madonna di Fatima, la cui statua oggi aveva un posto d’onore in chiesa.
E’ stata una bellissima confessione, l’ultima presso un sacerdote che sta per partire e che volevo salutare, l’unico negli ultimi anni capace davvero di ascoltarmi senza giudicare. Ci mancherà ma sono sicura che farà molto bene dove andrà.
Abbiamo parlato di fiducia e verità, due tematiche a me molto care e su cui sono molto rigida, bianco o nero. Oggi ho capito che nei rapporti interpersonali la fiducia sta nel mezzo, è una sfumatura dolorosa. Che mi piaccia oppure no devo compiere una strada dolorosa, non so se ci riuscirò ma so che avrò sempre dalla mia la consolazione della Misericordia di Dio.
Sono pensieri intimi da scrivere lo so, ma a volte penso che ci sono possono essere in giro persone alla ricerca di risposte come me e che, forse, leggendomi, possono trovare anche loro un po’ di pace.
Madre…mamma…la nostra identità
Ho imparato nel tempo che ci sono tante tipologie di mamme e di madri…perchè la biologia non ci eleva a questo meraviglioso titolo, talvolta ne è solo l’inizio e talvolta non ha nemmeno voce in capitolo.
Mamma è un punto di riferimento, una stella polare, una identità senza passato e senza collocazione geografica, perchè la Mamma è sempre presente, senza tempo, senza luogo.
L’abbraccio della Mamma che sia biologica, adottiva, celeste, acquisita è un avvolgersi che profuma di rose a maggio, di pomodori freschi a luglio, di castagne a ottobre e di Natale a dicembre.
Mamma è quanto di più importante ci sia stato concesso.
Auguri a tutte le mamme.
La madre è una sposa vestita di bianco
Che si pianta nel cuore del suo frutto
E contempla nel silenzio la
Sorpresa della gratuità.
La madre è un abbraccio che si innalza
fino alle nubi del cielo perché risuoni
tra le stelle lo sguardo di Dio.
La madre è un bacio che illumina
Le tenebre e nella umanità vibra la sua
Regalità.
La madre è un tenero fiore
forte nel deserto
docile nella grazia
in lei la mia identità.
(Bianco Sangue di Paolo Cilfone)
Dipinto di Alan Murray
Ti scrivo dal balcone
Ti scrivo dal balcone
dove resto ancora un poco questa sera
a guardare l’orto al sole di settembre
a mangiare pane e olio e foglie piccole di basilico.
Ti scrivo meno fiera di quello che vorresti
sono una donna forte sì
ma con anche continue tentazioni di non esserlo
di lasciarmi sciogliere d’amore al sole
e carezzarti e baciarti un po’ di più di quello che tu vuoi.
Ti scrivo dal balcone
guardando il fico pieno di frutti
e il pero con le foglie malate
ho qualche pensiero triste
e due o tre sereni.
Vivian Lamarque
Dipinto di Fabian Perez
Al mio Maggio
La dedico al mio Maggio, iniziato non nel modo migliore perchè talvolta è proprio come recita Eduardo…l’amore è un dolore che profuma di rosa ma per chi ha dalla sua l’amore è maggio tutto l’anno!
Il mese delle rose, il mese della mamma, il mese della Madonna, il mese più bello in assoluto, il mio mese perchè mi ha messo al mondo e non potevo nascere in un momento dell’anno più dolce!
“Scusate, sapite l’ammore ched’è?”
“L’ammor’ è na cosa
c’addora di rosa,
ca rosa nunn’è.
Nduvina ched’è?”
“E’ rosa?
E scusate, sapite pecché?”
“E’ rosa o culore
che serve p’ammore.
L’ammore nun c’è
si rosa nunn’è.”
“L’addore che c’entra, si rosa nunn’è?”
“Pecché dinto maggio,
se piglia curaggio!
Sentenno l’addore
te nasce l’ammore”.
“A maggio sultanto?
E sapite pecché?”
“E’ maggio pè n’anno
pè chille c’o ssanno.
Pè chi nun vò bene
stu mese nun vene.”
“E senza l’addore,
l’ammore nun c’è?”
“Nun c’è !
Pecché ‘ammore
è forte dolore,
ca pare na cosa
c’addora di rosa”
Ecco il luogo! Assisi.
Questa città in pieno sole, distante e al tempo stesso aperta, abbastanza elevata per dominare la pianura, pur lasciandosi proteggere dal monte a cui si addossa, ha raggiunto un grado di equilibrio miracolosamente perfetto. Forse attratto da questo equilibrio, il soffio vitale che circola fra terra e cielo vi soggiorna volentieri, diffondendovi i suoi benefici chiarori. Sorse allora in me questa convinzione, ben salda nell’immaginario cinese e derivante dalla stessa tradizione geomantica:”Un angolino di terra che possiede del genio può generare un genio umano di portata universale.”
Da “Assisi-Un incontro inaspettato” di Francois Cheng
Mamma di uno è mamma di tutti
Questo brano, letto nel libro “Le donne di Francesco” mi ha molto colpito perchè ho rivisto la mia esperienza di tutta la vita, finora vissuta, con la famiglia francescana. Ogni volta che ho partecipato ad una professione o ad una ordinazione sono sempre stata incuriosita e stupita, non solo dalla fratellanza dei frati fra loro ma anche dall’affetto che le rispettive famiglie mostravano verso i fratelli…proprio come se fossero tutti figli loro. Il che non fa di nessun un santo, perchè la santità non è di questa terra, forse qui inizia ma si compie nei cieli, però il senso della famiglia fra gli amici francescani è molto forte ed è bello ritrovarla in questi scritti che poi alla fine sono tramandati dallo stesso San Francesco.
Mamma di uno è mamma di tutti
In un’altra circostanza, mentre dimorava a Santa Maria della Porziuncola, una donna povera anziana, che aveva due figli nella Religione, venne a chiedere l’elemosina al beato Francesco. Subito il beato Francesco disse a Frate Pietro di Cattaneo, allora ministro generale: “Possiamo trovare qualcosa da offrire a quella nostra madre?”. Era solito dire, infatti, che la madre di un frate era madre sua e di tutti i frati. Gli rispose frate Pietro:”In casa non c’è niente da poterle dare, poiché lei vorrebbe una elemosina tale che gli garantisse di potersi sostentare. E in chiesa abbiamo soltanto un Nuovo Testamento, sul quale facciamo le letture durante il mattutino.” In quel tempo, infatti, i frati non avevano breviari nè molti salteri. Concluse il beato Francesco:”Allora da’ a nostra madre il Nuovo Testamento, affinché lo possa vendere per sovvenire alle sue necessità. Io credo fermamente che piacerà a Dio e alla beata Vergine più che se ci leggiamo sopra.” E così glielo diede.
Da “Le donne di Francesco” di Fabio Scarsato
Clara Haskil
Clara Haskil, originaria della Romania da una famiglia ebraica – sefardita, è stata una grande interprete di Mozart.
Dio si adegua al nostro passo
La strada di Emmaus racconta di cammini di delusione, di sogni in cui avevano tanto investito e che hanno fatto naufragio. E di Dio, che ci incontra non in chiesa, ma nei luoghi della vita, nei volti, nei piccoli gesti quotidiani. I due discepoli hanno lasciato Gerusalemme: tutto finito, si chiude, si torna a casa. Ed ecco che un Altro si avvicina, uno sconosciuto che offre soltanto disponibilità all’ascolto e il tempo della compagnia lungo la stessa strada. Uno che non è presenza invadente di risposte già pronte, ma uno che pone domande. Si comporta come chi è pronto a ricevere, non come chi è pieno di qualcosa da offrire, agisce come un povero che accetta la loro ospitalità. Gesù si avvicinò e camminava con loro. Cristo non comanda nessun passo, prende il mio. Nulla di obbligato. Ogni camminare gli va. Purché uno cammini. Gli basta il passo del momento, il passo quotidiano. E rallenta il suo passo sulla misura del nostro, incerto e breve. Si fa viandante, pellegrino, fuggitivo, proprio come i due; senza distanza né superiorità li aiuta a elaborare, nel racconto di ciò che è accaduto, la loro tristezza e la loro speranza: Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino? Non hanno capito la croce, il messia sconfitto, e lui riprende a spiegare: interpretando le scritture, mostrava che il Cristo doveva patire. I due camminatori ascoltano e scoprono una verità immensa: c’è la mano di Dio posata là dove sembra impossibile, proprio là dove sembra assurdo, sulla croce. Così nascosta da sembrare assente, mentre sta tessendo il filo d’oro della tela del mondo. Forse, più la mano di Dio è nascosta più è potente. E il primo miracolo si compie già lungo la strada: non ci bruciava forse il cuore mentre ci spiegava le Scritture? Trasmettere la fede non è consegnare nozioni di catechismo, ma accendere cuori, contagiare di calore e di passione. E dal cuore acceso dei due pellegrini escono parole che sono rimaste tra le più belle che sappiamo: resta con noi, Signore, perché si fa sera. Resta con noi quando la sera scende nel cuore, resta con noi alla fine della giornata, alla fine della vita. Resta con noi, e con quanti amiamo, nel tempo e nell’eternità. E lo riconobbero dal suo gesto inconfondibile, dallo spezzare il pane e darlo. E proprio in quel momento scompare. Il vangelo dice letteralmente: divenne invisibile. Non se n’è andato altrove, è diventato invisibile, ma è ancora con loro. Scomparso alla vista, ma non assente. Anzi, in cammino con tutti quelli che sono in cammino, Parola che spiega, interpreta e nutre la vita. È sulla nostra stessa strada, “cielo che prepara oasi ai nomadi d’amore” (G. Ungaretti).
Ermes Ronchi
Commento al Vangelo di domenica 30 aprile 2017