Teatro
Raccontare il mio altro – Laboratorio esperienziale di teatro
Laboratorio esperienziale di teatro – livello base
Il laboratorio è rivolto a tutti coloro che non hanno mai praticato l’attività teatrale ma che vogliono acquisire le tecniche basi per prendere consapevolezza del proprio corpo e renderlo strumento espressivo; imparare l’importanza del gioco di squadra. Scoprire lo spazio come strumento per raccontare; considerare la parola come azione.
Per affrontare questo viaggio, che durerà 4 mesi, prepareremo uno zaino vuoto che insieme verrà riempito di tutto l’occorrente per prepararci a scalare la montagna del “noi stessi”.
Un vero e proprio palcoscenico!
L’analisi del testo teatrale sarà la nostra bussola per poterci sempre orientare verso la meta prefissata. E quando finalmente saremo arrivati in cima, piazzeremo le tende per la nostra piccola messa in scena godendoci il panorama che solo da un punto di vista privilegiato – come il nostro – si potrà ammirare.
Obiettivo finale
Alla fine del laboratorio avremo sperimentato “quanto mio altro” è nascosto in ognuno di noi e, dopo averlo fatto finalmente emergere, potremo scegliere se il teatro sarà il mezzo per portarlo ancor di più in superficie e renderlo vivo.
Formatori:
Paolo Cilfone: Tecnica teatrale e scrittura del corpo scenico
Giuseppe Strada: Voce e respirazione – Metodo Feldenkrais
Immacolata Mancino: Corpo e movimento
Requisiti
Non è richiesto nessun requisito particolare per la partecipazione al laboratorio ed è aperto a tutti: anche a chi ha già esperienze di teatro; agli appassionati e a chi vuole confrontare il proprio talento artistico con il mondo teatrale.
Strumenti del lavoro
Saranno letti e studiati testi di Cechov, Pirandello e Beckett.
Durata
4 mesi con cadenza settimanale ogni venerdì con orario 20.30/22
Il corso si terrà da venerdì 1 Marzo 2019 a venerdì 28 giugno.
Luogo
Kuma in via Egnazia, 20 a Bari (zona RAI).
E’ gradita l’iscrizione all’Open Day per motivi logistici.
Contatti:
Paolo Cilfone
p.cilfone@gmail.com
tel. 328.2214329
I colori dell’anima
Laboratorio teatrale a Bari
Il corso è rivolto a tutti coloro che non hanno mai praticato l’attività teatrale ma che vogliono acquisire i primi strumenti
per poterlo fare. Per affrontare questo viaggio che durerà 6 mesi, prepareremo uno zaino vuoto che insieme verrà riempito di tutto l’occorrente per prepararci a scalare la nostra montagna: salire sul palcoscenico.
Sarà indispensabile prendere consapevolezza del proprio corpo per renderlo strumento espressivo; imparare l’importanza del gioco di squadra. Scoprire lo spazio come strumento per raccontare; considerare la parola come azione. L’analisi del testo teatrale sarà la nostra bussola per poterci sempre orientare verso la meta ogni volta che ci sarà un’incertezza.
E finalmente arrivati in cima piazzeremo le tende per la nostra piccola messa in scena godendoci il panorama che solo da un punto di vista privilegiato come il nostro palco si può ammirare.
Lezione di prova gratuita il 26 ottobre presso l’associazione Tree of Life alle ore 19.30.
Info: p.cilfone@gmail.com
Buon teatro a tutti coloro che vorranno partecipare!
Il Satyricon di Petronio ai giorni nostri con il Diaghilev
Sipario!
La domenica sera era, come sempre, dedicata al teatro. Io e la nonna ci facevano belle e, a braccetto, ci dirigevamo contente e gongolanti verso il nostro meraviglioso teatro cittadino, il Petruzzelli.
Era sempre una grande emozione entrarci: esser avvolti da quell’abbraccio lucente colmava ogni vuoto del cuore.
Questa volta però, al nostro arrivo, il teatro era stranamente ancora chiuso al pubblico.
Ci dissero che c’erano delle prove importanti in corso e che la messa in scena, prevista per quella sera, sarebbe stata ritardata.
Spinta da curiosità chiesi di poter entrare con la nonna per assistere a queste prove.
Mi dissero che il regista era molto severo su questo aspetto e che non si poteva. La mia adorata nonna sfoderò tutta la sua eleganza e, ai nostri irresistibili occhi dolci, l’addetto all’ordine non potè resistere.
Dunque entrammo e ci fecero addirittura accomodare in platea, con la promessa che saremmo state invisibili.
Timorose ed eccitate per quel fuori programma ci ponemmo in religioso ascolto di ciò che accadeva innanzi a noi.
Sul palco c’erano diversi attori e attrici, sembravano tutti bravi ed entusiasti.
Il regista sedeva in disparte, per terra, con le braccia avvolgeva le sue lunghe gambe, in una posizione quasi fetale.
Aveva occhi azzurri penetranti, trasmetteva fierezza, orgoglio per il suo spettacolo.
La trama non era ben chiara ma la passione che avvolgeva il palco e gli attori distolse la mia mente dal voler ricercare una storia. Mi feci cullare dalle parole.
Ero talmente incantata che ad un certo punto istintivamente…applaudo!
La nonna accanto a me trasale spaventata e mi blocca le mani.
“Non si era detto di essere invisibili?”, diceva il suo sguardo di rimprovero.
Troppo tardi, il regista si accorge di noi!
Alziamo le mani in un gesto di scuse e facciamo per alzarci e andar via ma lui ci invita a rimanere e ci fa sedere in prima fila.
Felice e sorpresa, guardo la nonna. Lei mi conosce benissimo e capisce che stavo vivendo un momento unico ed irripetibile ed ero felice che ci fosse lei accanto a me.
Quei momenti a teatro erano i nostri momenti, il nostro micro mondo in cui nessuno poteva entrare e che nessuno poteva capire.
Io e lei, un teatro, gli attori, le luci, le musiche, il sipario…che magia!
Le prove continuano.
Per fortuna gli attori non si sono accorti del mio rumoroso entusiasmo e hanno continuato la loro recita.
Io non riesco a staccare gli occhi dal regista e le orecchie dagli attori.
Cercavo di carpire segni di approvazione o disapprovazione.
La nonna si accorse del mio sguardo insistente e mi riprese: “Non sta bene!”, disse. Però sotto sotto anche lei era incantata da quegli occhi azzurri, dai gesti delle sue lunghe mani, dalle indicazioni con cui istruiva ed esortava gli attori e le attrici.
Sul palco c’erano più donne, che uomini, e sembravano quasi gareggiare nel recitare l’una meglio dell’altra la propria parte.
Prime donne, pensai.
Gli uomini erano più spigliati, completamente a loro agio su quel grande palco, sembravano davvero calati nella parte.
Ad un certo punto successe una cosa davvero inaspettata che suggellò quella serata e la mia vita per sempre.
Il regista mi guardò.
Lo vedo avvicinarsi e porgermi la mano invitandomi a salire sul palco.
Io lo guardo terrorizzata e gli dico di no, assolutamente no, e guardo la nonna in cerca di aiuto.
Lei però mi guarda e sorride: ”Nipote mia, ogni lasciata è persa”.
I proverbi della nonna, ti lasciava sempre senza parole, non potevi mai replicare.
E vabbene…Con la sua benedizione prendo la mano del regista e mi faccio accompagnare sul palco.
Timida e insicura comincio a muovermi e a recitare, lui mi guida dal suo angolo, delicato e sorridente, nessuno si accorge delle sue indicazioni.
Quando sbaglio, mi corregge, talvolta con cipiglio severo, poi il sorriso si riapre sul suo volto.
Lo spettacolo procede, il regista è così entusiasta di me che decide di darmi la parte principale.
Io sono felice e fiera, ogni titubanza via via scompare.
Le scene si susseguono e io continuo a recitare serena.
Ad un certo punto però le altre attrici dello spettacolo cominciano ad agitarsi.
Fermano la scena e interpellano il regista. Non vogliono che io continui con la parte principale. Sono appena arrivata e rubo la scena a tutte.
Prime donne, ripenso.
Dal palco cerco lo sguardo della nonna, ho bisogno di coraggio, è buio, non riesco a vederla…
Non ho chiesto io di salire su quel palco e non volevo nemmeno prendere parte allo spettacolo, il mio posto è la platea.
Vedo il regista in difficoltà, si altera, non riesce più a guidarmi.
Abbiamo gli occhi di tutti addosso e la scena fatica a decollare.
Faccio per scendere dal palco e abbandonare tutto. Giungo le mani in segno di preghiera e guardo quegli occhi azzurri, ora diventati tristi. Senza proferire parola cerco di dir loro: ”Non importa, è giusto così!”
Lui mi fa cenno di stare tranquilla e di rimanere sul palco. Si arrende, non rinuncia a me, assegnandomi però una parte secondaria.
Le acque si calmano ma non troppo…sul palco rimangono ancora troppe prime donne…ripenso ancora; litigano fra loro e mortificano il palco sul quale poggiano i loro piedi indegni.
Continuo a cercare gli occhi della nonna, “ma dove è finita? Perché non riesco a vederla? Perché non si sporge un po’ dalla platea, ho bisogno di lei!”
Il regista è stanco. Vedo il suo viso allungarsi, la luce nei suoi occhi affievolirsi.
Il suo spettacolo perde mordente.
La sua vita sembra quasi perdere di significato.
Dal mio cantuccio sul palco, in attesa della mia unica battuta, continuo a guardarlo, non gli stacco gli occhi di dosso, vorrei aiutarlo, vorrei far tornare a brillare i suoi occhi e il suo lavoro, ma ho solo una battuta….come faccio?
Poi finalmente la vedo, seduta con tutta la sua nobiltà d’animo, fiera nel suo argento. La nonna mi sorride ancora una volta, non c’è bisogno di dire una sola parola.
Amo questo spettacolo.
Il teatro, come la vita, possono talvolta essere improvvisazione.
Ho solo una battuta, e allora?
Sipario!
Dedicato a Nonna Nicla per tutta la bellezza che sento quando la penso.
Giornata Mondiale del Teatro 2017
Lindsay Kemp
Ho conosciuto Lindsay Kemp solo di recente e ho avuto, a questo punto devo dirlo, la fortuna sfacciata di vedere dal vivo questo “mostro sacro”, perchè tale viene definito, nel suo Kemp Dances.
Ne sono rimasta molto colpita e innamorata.
Lo spettacolo rientrava nella rassegna di danza ma in realtà era molto ma molto di più.
Oltre la danza, oltre il teatro.
Kemp nasce come mimo e penso che, dopo questa esperienza, adesso vedrò i mimi con occhi diversi perchè non avevo idea di cosa potessero diventare sul palco di un teatro.
Credo di non esagerare nel dire che questo è lo spettacolo più bello che io abbia visto finora.
E’ stato incantevole!
L’emozione non è nella danza o nella musica, l’emozione prende vita dal volto di Kemp, dai movimenti delle sue mani e giunge delicata agli occhi ma ancor di più al cuore dello spettatore che rimane incantato.
Kemp aziona un magico carillon e i suoi gli ruotano intorno sprigionando magia…
Grazie alla vita per questo dono!
La Speranza nell’Epifania
Vi faccio dono di un altro stralcio del libro di Sartre sulla Natività di Gesù.
Sartre mise in scena il testo nel campo di prigionia, dove lo scrisse, per allietare il Natale dei suoi compagni. Lui stesso impersonò Baldassarre nella rappresentazione teatrale. Si parla di Speranza, la Speranza dell’Epifania.
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Bariona: Non credo più al Messia nè a tutte le vostre frottole. Voi altri ricchi, i re, vedo chiaro nel vostro gioco. Ingannate i poveri con corbellerie perché stiano tranquilli. Ma vi dico che non mi ingannerete, Abitanti di Bethàur, non voglio più essere il vostro capo perché avete dubitato di me. Ve lo ripeto per l’ultima volta: guardate la vostra disgrazia in faccia, poiché la dignità dell’uomo e nella sua disperazione.
Baldassarre: Sei sicuro che non è piuttosto nella sua speranza? Non ti conosco affatto, ma vedo nel tuo viso che hai sofferto e vedo anche che ti sei compiaciuto nel tuo dolore. I tuoi tratti sono nobili ma i tuoi occhi sono metà chiusi e le tue orecchie sembrano tappate, cioè nel tuo viso il peso che si incontra su quelli del cieco e del sordo; tu rassomigli a uno di quelli idoli trucidi e cruenti che adorano i poveri pagani. Un idolo selvatico dalle ciglia abbassate, cieco e sordo alle parole umane e che non ascolta che i consigli del suo orgoglio. Pertanto, guardaci: abbiamo sofferto anche noi, e siamo saggi tra gli uomini. Ma quando questa nuova stella è apparsa abbiamo lasciato senza esitare i nostri regni e l’abbiamo seguita e andiamo ad adorare il nostro Messia.
Bariona: Ebbene: andate e adoratelo. Chi ve lo impedisce, che cosa c’è tra voi e me?
Baldassarre: Qual è il tuo nome?
Bariona: Bariona. E dunque?
Baldassarre: Tu soffri, Bariona. Tu soffri e pertanto il tuo dovere è di sperare. E’ tuo dovere di uomo. E per te che il Cristo è disceso sulla terra. Per te più che per qualsiasi altro, poiché soffri più di qualunque altro. L’Angelo non spera perché gioisce della sua gioia e Dio gli ha, in anticipo, dato tutto e il ciottolo non spera di più, poiché vive stupidamente in un presente perpetuo. Ma quando Dio ha plasmato la natura dell’uomo, ha creato insieme la speranza e la preoccupazione. Poiché l’uomo, vedi, è sempre molto più di quel che è. Vedi questo uomo, tutto appesantito dalla sua carne, radicato sul luogo dei suoi due grandi piedi e tu dici, stendendo la mano per toccarlo: è là. E ciò non è vero: ovunque sia, un uomo Bariona è sempre altrove. Oltre le cime violette che tu vedi di qui, a Gerusalemme; a Roma, oltre questa giornata glaciale, domani. E tutti questi che ci circondano, sarà difficile che siano ancora qui: sono a Betlemme in una stalla attorno al piccolo corpo caldo di un bambino. E tutto questo avvenire di cui l’uomo è plasmato, tutte le cime, tutti gli orizzonti violetti, tutte queste città meravigliose che bazzica senza mai averci messo i piedi: è questa la Speranza. E’ la Speranza. Guarda i prigionieri che sono davanti a te, che vivono nel fango e nel freddo. Sai quello che vedresti se potessi seguire la loro anima? E colline e i dolci meandri di un fiume e delle vigne e il sole del Sud, le loro vigne loro Sole. E laggiù che essi sono. E le vigne dorate di settembre, per un prigioniero intirizzito e coperto di parassiti, questa è la Speranza. La Speranza il meglio di essi. E tu, vuoi privarli delle loro vigne e dei loro campi e dello splendore delle colline lontane, vuoi lasciar loro solo il fango e pidocchi e la rutabaga, vuoi dar loro il presente spaventato della bestia. Poiché la tua disperazione: ruminare l’istante che passa, guardare i tuoi piedi con un occhio rancoroso e stupido, strappare la tua età dall’avvenire e richiuderla in un cerchio attorno al presente. Allora non sarai più un uomo, Bariona, non sarai che una pietra dura e nera sulla strada. Sulla strada passano delle carovane, ma la pietra resta sola e irrigidita come un limite nel suo risentimento.
Bariona: Tu vaneggi vecchio.
Baldassare: Bariona, è vero che siamo molto vecchi e molto sapienti e conosciamo tutto il male della terra. Pertanto quando abbiamo visto quella stella nel cielo, i nostri cuori hanno gioito come quelli dei bambini e siamo diventati i bambini e ci siamo messi in cammino, perché volevamo compiere il nostro dovere di uomini che sperano. Che perde la Speranza, Bariona, sarà cacciato dal suo villaggio, sarà maledetto e le pietre del cammino gli saranno più spigolose e i rovi più pungenti e il fardello che porta più pesante e tutte le disgrazie si abbatteranno su di lui come api irritate, ed ognuno si befferà di lui e griderà: Dagli! Ma a chi spera, tutto gli sorride e il mondo è dato come un regalo. Andiamo, guardate se dovete rimanere qui o decidetevi a seguirci.
Da Bariona o il figlio del tuono di J.P. Sartre
La Sacra Famiglia di J. P. Sartre
“Ma ascoltate: non avete che da chiudere gli occhi per sentirmi e vi dirò come li vedo dentro di me. La Vergine è pallida e guarda il bambino. ciò che bisognerebbe dipingere sul suo volto è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, è il frutto del suo ventre. L’ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà in sangue di Dio. E in certi momenti, la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. Lo stringe tra le sue braccia e dice piccolo mio! Ma in altri momenti rimane interdetta e pensa: Dio e là e si sente presa da un orrore religioso per questo Dio muto, per questo bambino terrificante. Poiché tutte le madri sono così attratte a momenti davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino e si sentono in esilio davanti a questa nuova vita che è stata fatta con la loro vita e che popolano di pensieri estranei.
Ma nessun bambino è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua madre poiché egli è Dio ed è oltre tutto ciò che lei puoi immaginare. Ed è una dura prova per una madre aver vergogna di sé e della sua condizione umana davanti a suo figlio. Ma penso che ci sono anche altri momenti momenti, rapidi e difficili, in cui si sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che è Dio. Lo guarda e pensa:<<Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. E’ Dio e mi assomiglia>>. E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive.
Ed è in questi momenti che dipingerei Maria se fossi pittore e cercherei di rendere l’espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino-Dio di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride.
Questo è tutto su Gesù è sulla Vergine Maria. E Giuseppe? Giuseppe, non lo dipingerei. Non mostrerei che un’ombra in fondo al pagliaio, due occhi brillanti. Poiché non so cosa dire di Giuseppe e Giuseppe non sa che dire di se stesso. Adora ed è felice di adorare e si sente un po’ in esilio. Credo che soffra senza confessarselo. Soffre perché vede quanto la donna che ama somiglia a Dio, quanto già sia vicino a Dio. Poiché Dio è scoppiato come una bomba nell’intimità di questa famiglia. Giuseppe e Maria sono separati per sempre da questo incendio di luce. E tutta la vita di Giuseppe, immagino, sarà per imparare ad accettare. Miei buoni signori, questa è la Sacra Famiglia.”
Da Bariona e il figlio del tuono di J.P. Sartre