Questa storia inizia sul terrazzino di un palazzotto di provincia.
Sono ai piedi di una scala ripidissima, come solo in un borgo antico possono essere. Apro il portone e me la ritrovo davanti.
Sospiro, sbuffo, non ho alcuna voglia di fare tutta questa fatica. Per cosa poi? Per chi? Per soffrire di nuovo?
É tutto qui sulla mia pancia, si è depositato di nascosto, bugia dopo bugia. Non ne avevo giá avuto abbastanza?
Evidentemente no, altrimenti non sarei qui, divisa tra l’istinto di scappare e il desiderio di provare di nuovo la sensazione di amare ed essere amata.
Mi sentivo una funambola, il vuoto sotto e poi la scelta: andare avanti o tornare indietro ma nello strapiombo no, non ci sarei più finita, questo lo sapevo, qualcosa l’avevo pure imparata.
Così la scala divenne la scelta, gradino dopo gradino, una pausa sul piano intermedio per riprendere fiato, e poi ancora gradino dopo gradino fino in cima.
Anche quando la porta si aprì davanti ai miei occhi e una mano avvolse la mia, c’erano ancora gradini da fare, fin lassù, fino a quel terrazzino in cui musica e campane gareggiavano per prendersi l’attenzione e darmi il benvenuto.
È passato del tempo, non ci sono più scale e nemmeno il terrazzino.
Li ho salutati entrambi con gratitudine per tutte le emozioni donatemi, si cammina in piano adesso ma la strada rimane ancora lunga.